Quando si pensa alla Maremma, viene subito in mente l’immagine mitica dei nostri butteri, in sella ai loro bellissimi cavalli, mentre radunano mandrie di vacche maremmane o gruppi di vivaci puledri al galoppo. Si pensa, al mare, alle belle spiagge, le dolci colline disseminate di eleganti cipressi, o alle terme, nelle cui acque immergersi, per ritrovare se stessi in un momento di relax!
Ma c’è un’altra Maremma meno conosciuta e battuta sicuramente dai turisti, ma non meno affascinante.
E’ la Maremma delle fitte macchie e dei pendii impervi, ricchi di vegetazione e sottobosco, dove noi del posto, ci inoltriamo volentieri alla ricerca di funghi o di asparagi, a seconda della stagione, ma dove anticamente trovavano spesso rifugio anche i briganti.
In Maremma, l’emblema del brigante è legata alla figura di Domenico Tiburzi (1836-1896), che nell’epoca del brigantaggio è stato sicuramente il più famoso fra questi particolari fuorilegge.
Temuto da tutti, aveva comunque una sua etica, una specie di Robin Hood dell’ 800, poiché aveva istituito una tassa sul brigantaggio che pretendeva, come fosse un odierno pizzo, dai ricchi proprietari terrieri, garantendogli in cambio protezione e destinandola esclusivamente a favore delle famiglie dei meritevoli briganti uccisi o dei contadini più poveri, che non riuscivano a sfamare le loro famiglie.
Tiburzi divenne presto così un eroe popolare, anche perché il fenomeno del brigantaggio, era nato come risposta alle numerose ingiustizie della società dell’epoca. Per la povera gente, era il brigante “buono”, che uccideva i briganti che si distinguevano per la loro prepotenza e cattiveria, spesso fine a se stessa, “perché fosse rispettato il comando di non uccidere”.