San Leonardo, il patrono di Manciano

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Il 6 novembre si festeggia San Leonardo, protettore dei carcerati delle partorienti e dei fabbri, ed anche patrono di Manciano.
 
Narra la leggenda che la notte del 5 novembre sarebbe stata l’ultima che il giovane Leonardo avrebbe passato legato con pesanti catene nell’angusta cella del carcere di Orbetello. Sarebbe stata anche l’ultima notte che Leonardo avrebbe passato in vita, dal momento che, sebbene innocente, l’indomani alle prime luci del giorno sarebbe stata eseguita la sua condanna a morte.
 
Leonardo stava trascorrendo quelle ultime ore con lo sguardo fisso sulle poche stelle che poteva vedere attraverso la feritoia posta in alto sulla parete di fronte a lui e pensava con infinita nostalgia a tutto ciò che era costretto a lasciare. Non avrebbe più rivisto la sua gente e il suo paese circondato da scuri boschi di lecci sempreverdi e querce da sughero, e da forteti folti di erica, profumati di mirto, colorati di corbezzolo e spinosi di marruca.
 
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Il Cassero di Manciano (Foto Stefano Nelli)

Manciano, con l’imponente cassero posto a dominare gran parte della Maremma arroccato sulla collina che sembra sorretto dalle case in pietra poste ai suoi piedi, strette le une alle altre come in un abbraccio che tiene unita la comunità. Leonardo ripensava a quante volte era rimasto senza fiato ad ammirare i panorami che offre ogni finestra del suo paese. Ad est, dall’irta salita della Rampa vedeva il verde della Tuscia viterbese e nelle più fredde mattine d’inverno, quando la tramontana gli gelava il respiro, l’orizzonte era segnato dal candore delle montagne abruzzesi innevate.
 
Dall’altra parte del paese, dalla terrazza delle Muretta, l’occhio percorreva tutta la pianura che porta fino al mare, a volte gli sembrava che allungando il braccio la sua mano potesse toccare il promontorio dell’Argentario o l’isola di Montecristo, e gli capitava di vedere il sole tramontare oltre una terra al di là del mare, la Corsica.
 
Leonardo ripensava a tutte le volte che aveva percorso con passi frettolosi i ripidi chiassetti del paese animati dai rumori e dagli odori di una umanità umile e laboriosa. In questo periodo dell’anno, durante il giorno il paese si sarebbe svuotato, tutti gli abitanti si recavano nelle campagne circostanti dal momento che era iniziata la raccolta delle olive, persino i bambini davano una mano raccogliendo i frutti che qualche acquazzone o lo scirocco avevano già fatto cadere a terra. In questo momento di sconforto il giovane Leonardo rimpiangeva persino il duro lavoro dei campi, che serbava sempre qualche momento di ilarità.
 
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Fonte Battesimale Chiesa S. Leonardo (Foto Alessandro Fichera)

Per lui non ci sarebbero più state le feste sull’aia assolata per la mietitura, né la svinatura con l’allegria e l’odore denso del mosto che riempie i vicoli del paese, non ci sarebbero più state le feste da ballo nei poderi, né scorribande con gli amici, né feste consacrate. Ed a proposito di feste consacrate gli venne in mente che quella sera non sarebbe stato con la sua gente ad aspettare fino a tardi che i rintocchi festosi del campanile della chiesaannunciassero la festa di San Leonardo patrono del paese.
 
Sentì il dolore squassargli il petto e i suoi occhi si riempirono di lacrime, piangendo si rivolse al suo santo protettore che lo aiutasse in questo duro momento: lui innocente condannato alla stregua dei più temibili criminali. Il cigolio del chiavistello che teneva chiusa la porta della sua prigione lo risvegliò dai suoi pensieri, il suo carceriere  gli stava porgendo il vassoio con la cena. L’ultimo pasto di un condannato a morte prevedeva del pollo arrosto, qualcosa di più succulento rispetto al cibo rancido somministrato quotidianamente ai prigionieri.
 
Leonardo con gentilezza rifiutò il pasto spiegando al secondino che essendo la vigilia di San Leonardo non poteva mangiare carne. La guardia, da uomo zotico quale era, lo sbeffeggiò e ridendo di gusto gli disse di starsene a pregare il suo santo protettore mentre il pollo lo avrebbe mangiato lui al posto suo, e si chiuse la porta alle spalle. In Leonardo la disperazione prese il sopravvento, la nostalgia dei ricordi, la rabbia per l’ingiusta condanna e la paura per la morte imminente impastavano la preghiera di pianto, fin quando lo sfinimento dell’anima divenne anche spossatezza del corpo e il giovane cadde in un torpore profondo.
 
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La targa sul Cassero di Manciano (Foto Giovanna Casetti)
 
A risvegliarlo da quella specie di sonno fu una voce improvvisa che gli diceva di alzarsi e andare via, aprendo gli occhi vide una luce irreale e subito si rese conto che non era un essere umano ad incitarlo. Quando Leonardo si alzò in piedi le grosse catene a cui era legato caddero miracolosamente a terra, la luce lo guidò verso l’uscita e il giovane non trovò nessuno ostacolo sul suo percorso.
 
Adesso era fuori, le sue narici si riempirono di aria fresca dall’odore salmastro della laguna, il chiarore della luce che lo aveva guidato fin lì era sparito e al suo posto c’erano due fiammelle che gli segnavano il cammino da percorrere. Sebbene dolorante e stremato per la lunga prigionia riuscì a trovare le forze per seguirle lungo i sentieri tra i campi e salì nella notte verso il suo paese. Dopo aver camminato a lungo iniziò a riconoscere luoghi familiari, sapeva di essere vicino a Manciano ma adesso le forze gli vennero meno e cadde a terra stroncato dalla fatica senza farcela a rialzarsi.
In quel preciso momento il silenzio della notte venne rotto dallo scampanio gioioso delle campane, Leonardo sapeva bene che quelle erano le campane di San Leonardo e ritrovò l’energia per alzarsi e mettersi a correre verso il suo paese, verso la sua chiesa. Trovò l’ampio portone della parrocchia spalancato, entrò correndo e cadde in ginocchio pieno di riconoscenza verso il santo e gli riaffiorarono alla mente le ultime parole dette al carceriere in risposta ai suoi sberleffi “San Leonardo se vole, pole”.
 
Contributo di Irene Belli per Maremmans