“Sono Capalbio reso felice dal Leone Senese”

"La Colomba ritrovata" a Massa Marittima
14 Ottobre 2014
Tutto si crea e nulla si distrugge
30 Settembre 2014
“Sono Capalbio reso felice dal Leone Senese”
Foto di Veronica Mosci

Foto di Veronica Mosci


Certo chi guarda dall’Aurelia, quel piccolo borgo incastonato su di una collina maremmana nel sud più ultimo della Toscana, non può leggere questa scritta posta sull’ingresso alla cinta muraria che racchiude  l’abitato della Capalbio medievale che molta umanità c’invidia.
La storia di Capalbio non è però rinchiusa solo in quella frase, che testimonia il passaggio del dominio senese che nel XIV sec. produsse nel borgo la vera nascita di una comunità ed un momento prolifico e florido, che economicamente ebbe il suo maggior splendore con lo sviluppo anche del proprio contado alla fine del 1500 per opera del Granduca di Toscana.
Nascono allora un macello, la salaia pubblica, una pizzicheria, la ferriera della Pescia o il mulino.
Ai primi del 1600 Capalbio è forte nella produzione di uve, e la caccia, vera e propria peculiarità ed attitudine del popolo capalbiese, ha i primi segnali di quanto sia importante per lo sviluppo della comunità.
Foto di Marco De Carolis

Foto di Marco De Carolis


Capalbio, è quindi ricco di storia, quella storia, non banale, mai scontata che ha visto passare più casate, visto battaglie per la conquista strategica delle sue terre, assolutamente non povero di segni di civiltà, che si sono spinti fino al mare (bellissima la torre di Buranaccio che domina da un lato il lago di Burano, e dall’altra la pre -duna della spiaggia della costa marina capalbiese) e più vicino nei nostri giorni con lo splendido esempio del Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, non a caso da considerarsi un esempio unico in Italia e secondo in bellezza e fascino solo al Parco Guell di Gaudì a Barcellona.
Capalbio ha una sua simbiosi nella caccia. I boschi sembrano vocati a stabilire questa battaglia uomo/animale che si perpetua da tempo immemore.
Il Cinghiale è l’animale principe della macchia mediterranea, ed incarna tutta la potenza, la forza, l’audacia e l’indomito carattere. Tutto esattamente come il cacciatore capalbiese possiede.
Terra dove hanno abbondato le tradizionali colture mediterranee, favorite da un clima particolarmente fortunato e condizioni ampelografiche pressoché perfette proprio per la cura della vite e dell’olivo.
Non mancano nel panorama i cavalli, al pari degli allevamenti siano essi ovini che vaccini, ed un paesaggio che ha mantenuto intatto il suo fascino di terra di confine in cui l’uomo ha saputo pregevolmente coesistere.
Se lo stesso viaggiatore, che dall’Aurelia volge lo sguardo al borgo di Capalbio, avesse voglia di fare una sosta, e fermarsi a monte ed a valle della strada “consolare”, probabilmente riceverebbe una sorpresa anche nel gusto. Pregevole ed ottime le colture a verdura e frutta, che trovano nella tavola in abbinamento con il pesce  un piacevolissimo connubio.
Ma è all’interno e per ciò che contraddistingue il territorio capalbiese, la carne la fa da padrona. Cinghiale in ogni modo, che trova una sua ottima fattura con la lavorazione norcina di salsicce e salami, o le tagliate e le bistecche di vacca, per passare dai sughi di lepre, dell’immancabile cinghiale, dai tortelli maremmani, alle scottiglie di agnello, per finire con zuppe e  minestre di verdure di impianto prettamente toscano.
Si, merita la sosta e non solo lo sguardo. E di feroce non c’è più il leone senese ma una “fiera” bellezza che Vi stupirà.
Foto di Roberta Sabatini

Foto di Roberta Sabatini