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Dal Bottaccio al Calidario passando per la pesca a mazzacchera.
Il Calidario aveva allora un nome diverso, più popolare. E ben diverso era anche il suo aspetto: inesistenti le strutture ricettive con le loro tende colorate, poco curate le pareti di contenimento, piene di erbe e giunchi le sue acque. Per me era un luogo magnifico. Si chiamava “il bottaccio”.
Raramente si svuotava tutto il bacino per la pulitura del fondo, era allora uno spettacolo vedere la fuoriuscita dell’acqua dalle numerose piccole polle distribuite qua e là.
Le sorgenti più generose si trovavano però nelle piccole grotte a nord che, nei pomeriggi di sabato ed alla domenica mattina, opportunamente chiuse alla meglio da asciugamani, diventavano ottimi locali da bagno come si poteva facilmente intuire dai rivoli di acqua saponata che ne fuoriuscivano.
La grande costruzione a sud aveva pareti molto meno curate e  numerose finestrelle utili per favorire la circolazione d’aria di essiccazione della carta gialla.
All’interno operava una cartiera che, macerando la paglia in una grande sfera ruotante ed in vasche piene di acqua calda, facendola poi essiccare, produceva fogli rettangolari che venivano poi spianati  dalle martellate di un grande maglio alla cui ruota motrice l’acqua di una piccola cascata forniva l’energia.
Nella chiesetta sconsacrata trovava asilo la famiglia di Dede, un uomo non molto fortunato che mi faceva molta tristezza. E tristezza ancora maggiore mi faceva Michelino, mio compagno alle elementari che viveva nella casa colonica ora trasformata in residence: la maestra infatti lo puniva in modo umiliante per le sue non brillanti prestazioni scolastiche.
 

Foto del blog di Salvatore Lo Leggio salvatoreloleggio.blogspot.it

Foto del blog di Salvatore Lo Leggio salvatoreloleggio.blogspot.it


L’acqua del bottaccio oltre alle funzioni sopra citate ne aveva altre forse più importanti. Nel suo scorrere verso il mare alimentava infatti le grandi ruote motrici di tre mulini che si trovavano lungo il percorso: i mulini Lugli, Cappelli e Fedi.
Mio padre conduceva in affitto il mulino Cappelli dove io ho avuto il privilegio e la fortuna di vivere per diversi anni godendomi un’infinità di bellissime  esperienze osservando in solitario il mio quasi sempre privatissimo mondo di persone e cose ancora vivissime nella mia mente.
Tra queste, una delle meno importanti ma per me molto divertenti, la pesca a mazzacchera nella gora della Fossacalda di fronte al mulino.
La dotazione: una volgare canna tagliata nel canneto, un filo qualsiasi, un grosso dado trovato da qualche parte, alcuni lombrichi racimolati nel terreno grasso ed umido, un ombrello da pecoraio grande e di incerato verde.
Il momento: subito dopo la pioggia che faceva torbe le acque della Fossacalda.
La raffinatissima tecnica: legati i lombrichi al dado lo si immergeva nell’acqua torba. Quando si sentiva che “toccavano” si tirava su la lenza trasportandola senza indugio ma dolcemente verso l’ombrello rovesciato dove il malcapitato pesciotto o l’ingenua anguilla mollava la presa ma trovava, al posto dell’acqua, l’ombrello … raccoglitore.
Anguille e pesciotti non erano della migliore qualità. Ma comunque,  allora erano molto, molto apprezzati !!!
Testo di Renato Lessi