Dal Bottaccio al Calidario passando per la pesca a mazzacchera.
Il Calidario aveva allora un nome diverso, più popolare. E ben diverso era anche il suo aspetto: inesistenti le strutture ricettive con le loro tende colorate, poco curate le pareti di contenimento, piene di erbe e giunchi le sue acque. Per me era un luogo magnifico. Si chiamava “il bottaccio”.
Raramente si svuotava tutto il bacino per la pulitura del fondo, era allora uno spettacolo vedere la fuoriuscita dell’acqua dalle numerose piccole polle distribuite qua e là.
Le sorgenti più generose si trovavano però nelle piccole grotte a nord che, nei pomeriggi di sabato ed alla domenica mattina, opportunamente chiuse alla meglio da asciugamani, diventavano ottimi locali da bagno come si poteva facilmente intuire dai rivoli di acqua saponata che ne fuoriuscivano.
La grande costruzione a sud aveva pareti molto meno curate e numerose finestrelle utili per favorire la circolazione d’aria di essiccazione della carta gialla.
All’interno operava una cartiera che, macerando la paglia in una grande sfera ruotante ed in vasche piene di acqua calda, facendola poi essiccare, produceva fogli rettangolari che venivano poi spianati dalle martellate di un grande maglio alla cui ruota motrice l’acqua di una piccola cascata forniva l’energia.
Nella chiesetta sconsacrata trovava asilo la famiglia di Dede, un uomo non molto fortunato che mi faceva molta tristezza. E tristezza ancora maggiore mi faceva Michelino, mio compagno alle elementari che viveva nella casa colonica ora trasformata in residence: la maestra infatti lo puniva in modo umiliante per le sue non brillanti prestazioni scolastiche.
Foto del blog di Salvatore Lo Leggio salvatoreloleggio.blogspot.it